IL PRETORE
    Ha pronunciato la seguente ordinanza.
    (Svolgimento  del  processo)  -  Con  ricorso  del  17 maggio 1984
 Mercuri Irma, premesso di essere legata da un rapporto  di  mezzadria
 alla  signora  Ciaffoni  Rosa, concedente, dal 1974 fino al 1983 e di
 aver diritto alla corresponsione della somma di  L.  7.155.079  oltre
 interessi  e  rivalutazione a titolo di indennita' di mancato reddito
 nonche'  differenze  contabili  risultanti  da   libretti   colonici,
 conveniva  innanzi  alla  pretura  di  Montalto  Marche la concedente
 sig.ra Ciaffoni Rosa per sentirla condannare  al  pagamento,  in  suo
 favore,  della  suindicata  somma  per  i titoli suesposti, ovvero di
 quella diversa risultante  dovuta  oltre  interessi  e  rivalutazione
 monetaria  dalla maturazione al saldo, con vittoria di spese, diritti
 ed onorari di lite, con sentenza  provvisoriamente  esecutiva  e  con
 ogni altra pronuncia di ragione e di legge.
    Si  costituiva  con memoria del 26 giugno 1984 la convenuta sig.ra
 Ciaffoni Rosa chiedendo  il  rigetto  delle  domande  avanzate  dalla
 mezzadra  Mercuri  Irma  e  sollevando  formalmente  una questione di
 illegittimita' costituzionale in riferimento all'art. 37 della  legge
 3  maggio  1982,  n. 203, e di ogni norma ad esso connessa dal titolo
 secondo della legge n. 203/1982 in relazione agli artt. 3, 4, 43,  44
 e 45 della Costituzione.
    Il  vice  pretore,  con  decreto  del  17  dicembre  1985, fissava
 l'udienza di discussione, alla quale le parti ed i  loro  procuratori
 comparivano, riportandosi al contenuto delle memorie in atti.
    Il  tentativo  di  conciliazione  non  aveva  esito, mentre veniva
 ammessa  ed  espletata,   previa   sostituzione   del   primo   c.t.,
 rinunciatario,   c.t.u.   contabile  intesa  alla  definizione  delle
 eventuali spettanze della ricorrente.
    Rifissata  l'udienza di discussione, e riproposta dalla resistente
 la tempestivamente sollevata  eccezione  di  incostituzionalita',  il
 vice   pretore,  con  ordinanza  in  calce,  sospendeva  il  giudizio
 disponendo la trasmissione degli atti alla Corte.
                         MOTIVI DELLA DECISIONE
    La  questione  di illegittimita' costituzionale dell'art. 37 della
 legge  n.  203/1982,  sollevata  da  parte  resistente,  non   appare
 manifestamente  infondata  in riferimento agli artt. 3, 42 e 44 della
 Costituzione.
    Si  osserva,  infatti,  che  l'art' 37 della legge n. 203/1982, ha
 nuovamente modificato la quota di riparto dei prodotti e degli  utili
 nella mezzadria, assegnando al mezzadro una percentuale ulteriore del
 6% sulla produzione lorda vendibile, con la conseguenza di  snaturare
 ulteriormente (certamente piu' di quanto gia' avvenuto con precedenti
 disposizioni  legislative)  il  diritto  di  proprieta'  dell'impresa
 concedente a mezzadria.
    La  sorte  delle quote di riparto dei prodotti e degli utili nella
 mezzadria e' stata, nel tempo, la seguente:
      con l'art. 2141 del c.c. fissata pariteticamente;
      con  la  legge 4 agosto 1948, n. 1094, modificata in ragione del
 3% (a favore del mezzadro ed al discapito del concedente);
      con la legge 15 settembre 1964, n. 756, modificata ulteriormente
 del 5% (con le medesime modalita' attuative);
      con  la  legge  3 maggio 1982, n. 203, oggetto di esame, infine,
 aggiornata di un ulteriore 6%, sempre in favore del mezzadro.
    Occorre,   qui,   evidenziare   come,  in  via  di  principio,  la
 disposizione  normativa  oggetto  di  censura  non  costituisca   una
 assoluta novita', ma e' opportuno, d'altro verso, considerare come il
 suo contenuto si innesti, ora, in una  tematica  ben  piu'  ampia  di
 quella considerata dalle precedenti disposizioni del 1948 e del 1964,
 la cui portata risultava limitativa rispetto alla  generale  tematica
 dei contratti agrari e della evoluzione storico-sociale della materia
 organicamente trattata e, sostanzialmente, rivoluzionata con la legge
 n. 203/1982.
    E', infatti, indiscutibile che l'aumento della quota di riparto in
 discorso e' destinata esclusivamente ad  incidere  su  quei  rapporti
 associativi  che,  non  convertiti, permangono in vita per un periodo
 transitorio compreso tra i sei ed i dieci anni (cfr.  art.  34  della
 legge n. 203/1982).
    Il  contrasto  tra  la  volonta' legislativamente espressa di dare
 termine alla tipologia contrattuale mezzadrile  e  l'incidenza  della
 norma  in  esame  sulla  sola quota di riparto e' stridente, e non si
 evidenziano,  in  proposito,  giustificazioni  logico-giuridiche   di
 sorta.
    Va,  qui,  debitamente  considerato  che la fattispecie dedotta in
 lite si riferisce a contratto  mezzadrile  gia'  cessato  al  momento
 della proposizione della domanda giudiziale.
    Sicche'  si  evidenzia, da un verso - normativamente - la linea di
 tendenza generale a stimolare (od  imporre,  nei  casi  previsti)  la
 trasformazione  dei  contratti  in  essere  in  forme  diverse e piu'
 attagliate e confacenti alla odierna realta'  degli  scambi  e  degli
 affari,  e, sorprendentemente, d'altro canto, l'incidenza su rapporti
 mezzadrili addirittura cessati di modificazione di un minimo  aspetto
 contrattuale quale quello delle quote di riparto.
    Aspetto minimo non gia' per la importanza che lo stimolo economico
 riversa sull'atteggiamento dei contraenti,  bensi'  minimo,  come  si
 diceva,  in  riferimento  alla  ben piu' ampia portata generale della
 legge n. 203/1982 organicamente ed integralmente intesa.
    Ora,   se   e'  incontestabile  che  sostanziali  censure  vennero
 formulate dalla ecc.ma Corte costituzionale (sentenza n. 153/1977)  a
 quelle  norme lesive, non solo del principio di uguaglianza, ma anche
 dei  poteri  di  iniziativa,  di  godimento,  di   disposizione   dei
 proprietarii  "ai  quali  veniva  tolto  cosi' ogni interesse a nuovi
 investimenti nelle loro  terre,  disincentivando  e  mortificando  la
 proprieta'  proprio  nella  sua  funzione sociale e produttiva, cosi'
 come sancita negli artt. 42 e 44 della Costituzione" non si vede come
 la  fattispecie dedotta, e l'indiscriminata modificazione delle quote
 di rispettivo  riparto,  possa  sottrarsi  alla  censurata  tipologia
 normativa.
    E' evidente che il mancato adeguamento dell'art. 37 ai principi di
 cui agli artt. 42 e 44 della Costituzione trova la sua ragione  nella
 mancata  giustificazione  -  nel  contesto di cui si e' detto - della
 operata modifica di riparto.
    Ne'  e'  possibile  rilevare  ex  post  una  giuridica  o comunque
 ragionevole argomentazione a supporto, nella generale  previsione  di
 imminente  o  solo  parzialmente  differito  abbandono definitivo del
 modello contrattuale mezzadrile.
    Allora,  sia  pure  nel  breve  scorcio di vita residua (ed, anzi,
 nella fattispecie dedotta gia' cessata) il rapporto de quo  scoraggia
 il  concedente  da  ogni  iniziativa  od  investimento  che  comporti
 apprestamento di mezzi e misure ingenti, a  fronte  del  modestissimo
 vantaggio sul quale poter riporre affidamento, ed, anzi, ormai con la
 certezza di subire anche un danno.
    La  critica  alla  legge n. 203/1982 si e' svolta, per lo piu', in
 linea generale, considerando che il legislatore abbia voluto impedire
 l'evolversi  di quel preteso fenomeno di assenteismo della proprieta'
 che, pero', nella realta', non e' stato assolutamente verificato.
    Le  ripetute  disposizioni,  venendo,  in tal guisa, a limitare la
 proprieta' terriera, ha  finito  per  togliere  ai  proprietari  ogni
 interesse ad effettuare forme di investimento nella terra costituendo
 una notevole disincentivazione da simili attivita';  tutto  cio',  in
 palese   violazione   del   dettato   costituzionale  che  impone  al
 legislatore ordinario di stabilire un equilibrio sostanziale  tra  le
 diverse  categorie  interessate:  equilibrio  che  chiaramente rimane
 escluso in presenza di una normativa  che  privilegia  smisuratamente
 una categoria a danno dell'altra.
    Il  concedente, inoltre, si e' trovato a sostenere sempre maggiori
 oneri, sia a causa dei contributi previdenziali, assistenziali  e  di
 bonifica  aumentati  a  dismisura,  sia  per l'impiego di nuovi mezzi
 meccanici nella conduzione dei  fondi  -  a  totale  beneficio  della
 famiglia mezzadrile che ha visto, cosi', tra le altre cose, diminuire
 notevolmente la propria manodopera -.
    Ad accentuare lo stato di disagio dei concedenti e' intervenuta la
 nuova normativa, la cui incongruenza appare ancor piu'  evidente  sol
 che   si   pensi   alla   sostanziale  differenza  esistente  tra  la
 percentuale, stabilita in eguale misura, per  la  contribuzione  alle
 spese  e  quella di diversa entita' per la determinazione della quota
 di riparto dei prodotti e degli utili nella mezzadria.
    Ma  poiche'  quello di mezzadria e' un tipico rapporto associativo
 che importa la ripartizione delle spese  nella  stessa  misura  degli
 incassi,  sarebbe  logico  oltre  che  rispondente ai piu' elementari
 principi di equita', disporre un  analogo  trattamento  ai  fini  del
 riparto delle spese.
    Cio' che non pare sia stato disposto.
    Ne'  e'  a  dirsi,  o,  comunque,  a  presumersi  che una siffatta
 iniziativa (modifica delle sole quote di riparto degli utili  e  non,
 parimenti, delle spese) possa incontrare giustificazione in principii
 di "utilita' sociale" nei sensi di cui alle sentenze nn.  107/1974  e
 181/1981  pronunziate dalla Corte ecc.ma, utilita' sociale intesa nel
 senso e con il limite di "assicurare la  tutela  di  una  sola  delle
 parti  del  rapporto,  anche  se si tratta di quella contrattualmente
 piu' debole".
    D'altra  parte ripartire le spese in misura diversa dagli incassi,
 condurrebbe all'assurda conseguenza che ad una parte  deriverebbe  un
 utile  netto  a  scapito dell'altra che, invece, potrebbe addirittura
 subire   una   perdita;   possibile   conseguenza   dell'applicazione
 indiscriminata dell'art. 37 in contesto, sicuramente in contrasto con
 il principio di cui all'art. 3 della Carta costituzionale.